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Soldi e fedi nuziali sottratti ai migranti salvati in mare Chiesto processo per 8 militari

Un sergente della Marina Militare imputato di peculato con l’accusa di essersi appropriato di denaro e oggetti di valore di migranti siriani soccorsi in mare; altri 7 militari del suo equipaggio sotto inchiesta per violata consegna per averlo agevolato. È la conclusione dell’inchiesta, rivelata oggi dal Tg La7 Cronache, condotta dalla Procura Militare di Napoli su un episodio avvenuto tra il 25 e il 26 ottobre 2013 sulla nave Chimera nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum a circa 45 miglia Sud-est da Lampedusa. Nell’operazione furono soccorsi un centinaio di profughi di nazionalità siriana, poi trasbordati a Porto Empedocle. Per gli otto militari, tutti della Brigata San Marco secondo Reggimento Brindisi, il pubblico ministero Marina Mazzella, della Procura Militare di Napoli, ha chiesto il rinvio a giudizio.
Procura militare chiede il rinvio a giudizio
La Procura militare, come riporta l’agenzia Italpress, avrebbe anche chiesto il rinvio a giudizio degli otto militari. L’inchiesta, che ipotizza i reati di peculato militare e violata consegna, scaturisce da alcuni accertamenti eseguiti dalla squadra mobile di Agrigento. La Procura della città dei templi ha poi trasmesso gli atti alla magistratura militare competente per i reati commessi dai militari della brigata San Marco. Gli indagati, secondo l’accusa, avrebbero costretto i profughi a depositare denaro e oggetti personali, fra cui una fede nuziale, in alcuni sacchetti senza alcun codice identificativo. In questo modo si sarebbero appropriati di una somma di circa 35 mila euro.
Peculato
L’accusa principale di peculato è contestata al sergente Massimo Metrangolo, 38 anni: si sarebbe fatto consegnare dai migranti soldi (almeno 34.850 euro e 26.354 dollari Usa) e oggetti preziosi, tra cui anche un anello nuziale, disattendendo tra l’altro le disposizioni secondo le quali si sarebbe dovuto limitare a ritirare soltanto eventuali armi e materiale pericoloso. Denaro e oggetti furono inseriti «cumulativamente» in buste prive di numerazione o altri segni di riconoscimento. Secondo l’accusa, avrebbe obbligato i migranti «man mano che venivano perquisiti a distogliere lo sguardo dalle successive operazioni e a restare inginocchiati, girati verso il mare».
Il naufragio
Un centinaio di profughi siriani, in preda allo spavento, su una carretta del mare che ondeggia paurosamente. Quando la speranza sta ormai per svanire, la barca viene avvistata dall’equipaggio di una nave militare italiana. Somiglia all’epilogo di una delle centinaia di operazioni di salvataggio condotte a termine con tenacia, abilità e sprezzo del pericolo da parte degli equipaggi della Marina Militare. Invece è soltanto l’inizio di una triste e brutta storia, se risulteranno confermate le accuse contestate ad alcuni componenti dell’equipaggio della nave Chimera che la notte tra il 25 e il 26 ottobre 2013 soccorse a 45 miglia da Lampedusa un’imbarcazione con un centinaio di migranti scappati dalla Siria. Perché secondo quanto emerso dall’inchiesta della Procura Militare di Napoli (alla quale il fascicolo è stato trasmesso dai pm di Agrigento) i profughi furono depredati di tutti i soldi e gli oggetti di valore. Per tutti i militari, appartenenti alla Brigata San Marco secondo Reggimento Brindisi, il pubblico ministero Marina Mazzella, della Procura Militare di Napoli, ha chiesto il rinvio a giudizio.
Le testimonianze
Metrangolo si sarebbe fatto consegnare dai migranti soldi (almeno 34.850 euro e 26.354 dollari Usa) e oggetti preziosi, tra cui anche un anello nuziale, disattendendo tra l’altro le disposizioni secondo le quali si sarebbe dovuto limitare a ritirare soltanto eventuali armi e materiale pericoloso. Denaro e oggetti furono inseriti «cumulativamente» in buste prive di numerazione o altri segni di riconoscimento. Secondo l’accusa, avrebbe obbligato i migranti «man mano che venivano perquisiti a distogliere lo sguardo dalle successive operazioni e a restare inginocchiati, girati verso il mare». Gli inquirenti hanno raccolto le testimonianze di numerosi immigrati, compresi donne e bambini. C’è chi ha riferito di aver visto alcuni militari, che non ha saputo indicare perché indossavano le mascherine sanitarie, mentre con un coltello tagliavano i sacchetti e rovistavano all’interno intascando poi il contenuto.

fonte:corrieredelmezzogiorno.corriere.it

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